Storia di un partigiano divenuto simbolo Spesso,
quando il tempo logora la memoria e le anime umane, la storia diventa
leggenda, la leggenda diventa mito, e i fatti si distorcono. Ne sono
state dette tante su quella che fu la Resistenza, a volte vere, a
volte dubbie ma più di ogni altra cosa ciò di cui abbiamo bisogno
sono testimonianze, che rischiano di risultare sempre più distanti
da quella che è la realtà delle nuove generazioni e che, allo
stesso tempo, diventano sempre più preziose perché sono un tesoro
di cui non potremo godere per sempre.
Questa è
la premessa dell’incontro avvenuto al Museo dei Campionissimi tra i
ragazzi del Liceo Amaldi e Aldo Gastaldi (con l’appoggio
dell’associazione ANPI di Novi Ligure), omonimo nipote del
comandante partigiano soprannominato ‘Bisagno’, per la
presentazione del film-documentario in tributo allo zio, caduto per
circostanze misteriose il 21 maggio 1945, alla fine della guerra.
In un mondo
difficile, in una nazione in ginocchio e divisa, tra le fila di un
popolo affamato e confuso da quelle che sarebbero state le sue sorti
all’indomani dell’Armistizio dell’8 settembre, alcuni giovani
chiamati alle armi dal fronte tedesco iniziarono a disertare formando
quelle conformazioni che tutti conosciamo e che diedero vita alla
Resistenza Italiana da parte dei giovani Partigiani.
Non spenderò
troppe parole su quelli che furono i fatti storici: su quelli si sono
raccolte pagine e pagine nei libri di storia che noi tutti abbiamo
studiato a più riprese e su cui ci siamo, chi più chi meno,
informati ed espressi. Parlerò dell’uomo. Di una storia vera.
Raccontata nel film di Marco Gandolfo senza commenti esterni se non
quelli di chi lo ha conosciuto. Vissuta senza compromessi. Una storia
verso cui a sentirne parlare prima portavo ‘solo’ rispetto e a
cui dopo quelle due ore devo qualcosa di più. Gli devo se non altro
delle riflessioni, dell’ammirazione, dei sentimenti che
l’esperienza di una singola persona mi ha fatto provare e che, un
pochino, mi hanno fatto sembrare di conoscerlo quell’uomo, tanto
che sentirne parlare da me non può dare lo stesso effetto di quelli
che furono le tante persone che lo hanno amato e seguito fedelmente.
Aldo
Gastaldi detto ‘Bisagno’ è stato il simbolo di ciò che fu il
vero significato della Resistenza. Non di quella resistenza che
all’indomani della Liberazione entrava nelle case ad ammazzare la
gente. Non di quella resistenza vestita del colore di un partito, che
cercò di prendersi i meriti, spuntando fiera quando fino al giorno
precedente si nascondeva dietro chi davvero la pelle l’aveva
rischiata per un ideale puro, indelebile, senza altri fini. Per lui
la loro guerra andava oltre i partiti. Era guerra per la libertà.
Guerra contro la dittature e la subordinazione della propria patria
ad un potere mostruoso e inumano. Una guerra in cui l’unica
bandiera per cui aveva un senso morire era quella tricolore. Chi ha
combattuto al suo fianco lo ricorda con orgoglio, quasi a voler far
capire la differenza fra loro e chi invece i meriti della Resistenza
provò a prenderseli.
Proveniva da
Genova, e nelle sue terre divenne capo della Divisione Cichero. Aveva
il carattere di un leader vero, di quelli che la vita dei propri
uomini vale piú di ogni altra cosa, più di qualche sporco interesse
e di un futuro di gloria. Non giustiziava mai coloro che erano
catturati, la vita per lui era qualcosa di inestimabile, e andava
difesa. Era un cattolico praticante e spesso la fede fu ciò su cui
basò le sue forze e le sue speranze. Forse quello fu il suo compito,
il compito a cui era stato destinato, e per il quale grazie ad una
immensa forza di volontà rispose colpo su colpo, perché di colpi in
quelle situazioni se ne prendono tanti e non riuscirsi più ad alzare
è semplice. Bisagno invece non solo si rialzava ogni volta, lui
prendeva sulle spalle anche tutti gli altri, che quando erano al suo
fianco si sentivano più forti nell’animo e con meno paura nel
cuore.
Non amo la
mitizzazione degli uomini perché spesso il mito mira alla
perfezione, e l’uomo non lo è mai. Amo però la coerenza, il
sacrificio, la lotta per qualcosa che vada oltre a ciò che ci fanno
credere sia fondamentale e che probabilmente lo è molto meno di
quanto pensiamo, e tutto ciò era davvero incarnato da colui che non
fu mai lo strumento di qualcun altro e che davanti ad una politica
che poche volte aveva fatto la scelta “giusta” metteva i valori
umani che per quella politica potevano essere calpestati. Amo infine
la figura di un uomo che non avrebbe mai scambiato i suoi ideali per
ideologie al servizio di privilegi e che per veri meriti divenne
simbolo di una lotta che può essere umana anche con un fucile in
mano ma che forse dopo non avrebbe più trovato spazio.
Damiano
Marauda 5a A Liceo delle scienze applicate
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